mercoledì 7 marzo 2012

Pagine tiepide

   Quando ho preso in mano l’ultimo volume del Ciclo dell’Eredità, di Christopher Paolini, ero molto combattuta. Ovviamente l’avrei letto, perché volevo sapere come andava a finire, ma solitamente la fine è quella che delude di più e non mi andava di essere delusa. Il lieto fine è scontato, per me, nelle saghe fantasy, non ne ho mai letta una che finisse male, nella quale vincesse il cattivo, per cui non è quello che mi incuriosiva o mi impensieriva. Più che altro sono le piccole cose, i misteri che vengono svelati, perché a questo punto devono essere svelati tutti, non uno se ne salva! Non sarebbe giusto sennò.
   Ho iniziato a leggere il Ciclo dell’Eredità, con Eragon, quando avevo quindici anni, se non sbaglio. Mi era piaciuto veramente moltissimo, e il suo seguito, Eldest, mi era piaciuto ancora di più. Quando, nel 2008, è uscito Brisingr, non so, forse i miei gusti erano cambiati con il tempo, ma non mi piacque come gli altri libri. Anche per questo non ero sicura che Inheritance mi sarebbe piaciuto, non tanto per la storia o per Paolini, ma perché avevo maturato un gusto differente.


   Ci ho messo un po’ a ingranare, lo ammetto, perché inizia con una battaglia, alla quale seguono strategie militari e un’altra battaglia ancora. Poi c’è la promessa di averne una terza in futuro, che però per fortuna tarda un poco ed è più leggera. Forse proprio in queste parti si intuisce che lo stile di Paolini è cambiato molto, moltissimo, dal primo libro ovviamente ma anche da Brisingr, che è uscito solo tre anni prima di questo. Da un lato mi devo complimentare con lui, dall’altro no.
   Mi complimento perché si vede che si è informato, ha ficcato il naso in libri che erano molto meno romanzi e molto più manuali, probabilmente, perché usa i termini tecnici nelle battaglie, nelle descrizioni delle città e degli oggetti di un epoca tipicamente medioevale. Inoltre il suo stile si è evoluto, si è arricchito, e adesso per raccontare qualcosa a cui prima dedicava due pagine, ne usa cinque (il che spiega le 821 pagine di libro). Purtroppo questa abilità di allungare il testo è sì qualcosa che un autore deve guadagnarsi con anni di esperienza, ma anche qualcosa che deve saper regolare e usare con parsimonia. Infatti, nonostante le minuziose e davvero chilometriche descrizioni di ogni singolo movimento dell’eroe in battaglia, la lettura era noiosa e fin troppo dettagliata. Per queste parti di lotta potevamo risparmiarci tutti gli scatti muscolari di Roran, tutti i movimenti con il martello e lo scudo, ogni singola goccia di sangue e sudore da lui versata. Potevo vivere anche senza saperlo, lo avrei comunque immaginato molto bene, anche senza tutti quei dettagli che, alla lunga (e sono veramente lunghi) mi hanno stancata. Inoltre alcune descrizioni erano orrende da leggere: ossa che si spezzano per volontà del padrone, bruciature di carne, bruchi che banchettano con i tuoi organi; delle cose orripilanti che mi hanno fatto storcere il naso più volte. Io adoro lo splatter, intendiamoci, ma lo splatter è un genere molto difficile da fare, perché è talmente esagerato e improbabile che non fa schifo, fa ridere ad un certo punto! Non era questo quello a cui Paolini anelava, e non l’ha fatto. Il risultato sono state scene ricche di inutile crudezza, che hanno reso il libro sì più veritiero ma anche troppo... maniacale. Probabilmente il mio è un commento di parte, ma la crudezza senza senso non mi piace.
   La parte che mi ha più stancata è stata la battaglia di Arughia, probabilmente. Dopo quella ho sperato con tutte le mie forze che avessimo finito, almeno per un po’, con i combattimenti, e menomale, sono stata esaudita.

   Una cosa che mi è dispiaciuta è il fatto che non sono stati introdotti nuovi personaggi. Capisco che a questo punto del gioco poteva essere rischioso, ma la verità era che mi aspettavo che arrivasse un altro Cavaliere de Draghi, e mi sarebbe piaciuto tanto che fosse un nuovo personaggio, piuttosto che uno di quelli già conosciuti. Insomma, in parole povere non mi è piaciuta la scelta finale di scegliere Arya sia come Cavaliere dei Draghi che come Regina degli Elfi, perché mi sembra un’esagerazione. Una di quelle cose che si ficcano alla fine solo perché, dai, la copertina aveva un drago verde, adesso deve uscire da qualche parte un lucertolone dello stesso colore! Il fatto poi che sia Arya, che è anche la donna che piace a Eragon, ha reso il tutto più stucchevole e mieloso, come a voler rendere ogni cosa perfetta.


   Riguardo ancora i nuovi personaggi, devo ammettere che è un dolore grande. Ad esempio, ho esultato quando Arya ed Eragon, imprigionati nell’Helgrind, stavano per essere salvati da un novizio. Già lo vedevo insieme ai Varden, a fare qualche cosa d’importante! In quello stesso punto del libro, accade però che arriva Angela e lo ferisce quasi a morte… Perché? Voglio dire, non aveva fatto niente, povero novizio!
   A parte questo, Angela era uno dei miei personaggi preferiti. Adesso è diventato uno dei miei personaggi normali, perché su di lei non viene svelato nulla. Paolini sa bene di questa sua mancanza, ma dice che senza i punti interrogativi sulla figura di Angela il personaggio perderebbe molto del suo fascino. Be’, è lui che conosce il suo personaggio, quindi non posso sapere se Angela è o meno una persona noiosa, ma credo che abbia lasciato molti dei lettori in sospeso, quando poteva benissimo non farlo. Perché lasciarla perdere? Dà spunti per una marea di cose interessanti da raccontare.
   Un capitolo che mi è particolarmente piaciuto, invece, è stato Infida-nera-caverna-spinosa. Un POV di Saphira, tanto per cambiare al posto di Eragon e Roran come in ogni santo capitolo, che oltre a raccontare la storia in maniera avvincente è stato anche originale e ha rispecchiato il modo di pensare di una razza che, di fatto, non esiste: i draghi. Capitolo corto ma molto piacevole da leggere, e soprattutto originale.

   La cosa bella dei libri fantasy è che possono prendere il mondo che hanno creato e stravolgerlo, perché le regole sono dettate dalla magia, ed è oltremodo comodo avere la scusa della magia alla quale appoggiarsi. Se un autore è molto capace può prendere ciò che ha già plasmato e creare qualcosa di completamente diverso, ma senza che sembri una scusante perché gli si era inceppata la fantasia e non sapeva continuare, se uno è bravo può cambiare posto a cielo e terra e farlo sembrare naturale come bere un bicchiere d’acqua.
   Paolini non l’ha fatto.
   Trovo giusto che anche in un mondo di fantasia ci siano dei limiti, che questo mondo non debba contraddire sé stesso, ma se gli schemi possono essere rotti, perché non farlo? In questo senso Paolini non ha aggiunto nulla di nuovo a ciò che già sapevamo di Alagaesia, e quando ho letto che cosa c’era dentro la famigerata Volta delle Anime, ahimè, mi sono cadute le braccia. Eldunarì. Ancora, tanti e tanti draghi cristallizzati dentro un cuore di roccia, che non arricchiscono affatto di prospettive la lettura. Mi sarebbe piaciuto un tocco di originalità in più, invece di combattere Galbatorix con la sua stessa arma. Mi sarebbe piaciuto qualcosa di nuovo, invece sembra che Paolini non abbia voluto scostarsi dal terreno sicuro già tracciato.

   La parte che mi è piaciuta di più (perché in fondo anche io sono romantica, anche se godo come una capra leggendo libri in cui avvengono solo tragedie) è stata la storia d’amore fra Murtagh e Nasuada. Murtagh è il mio personaggio preferito, perché è complesso ma vero, di carne più che di carta. Nasuada forse è poco più idealizzata, ma comunque sia ho adorato il fatto che Murtagh s’innamorasse di lei quando era in prigione, che la sostenesse, e che pian piano si affezionassero l’uno all’altro. Trovo che Murtagh sia il personaggio più riuscito della saga, perché anche se porta un forte contrasto interiore Paolini è stato capace di gestirlo. Ma soprattutto è credo l’unico personaggio positivo (perché non è cattivo in fondo, come viene più volte ribadito è stato costretto e non può ribellarsi – ah, la magia! Che magico espediente!) con dei veri difetti. Ammettiamolo, Murtagh è debole e pessimista, e non è assolutamente empatico. Questo lo rende estremamente umano, perché ha anche diverse qualità: coraggio, ingegno, forza. Murtagh è un personaggio a tutto tondo, con difetti e pregi, ed entrambi vengono messi in luce. Non come Eragon, per cui viene detto che ha dei difetti ma questi non intralciano mai seriamente la sua vita. Sono difetti comuni ad ogni essere umano e a ogni giovane ragazzo.
   Incorono Murtagh mio personale eroe della Saga dell’Eredità.

Foto ripresa dal film, ma ci tengo a precisare che io rinnego il film.

   Chi mi è stato antipatico fin dall’inizio (fin da Brisingr, se vogliamo essere sinceri) è Roran. Dallo scorso libro diventa il secondo personaggio principale di questa storia, il protagonista affianco ad Eragon. Nessuno, nemmeno Saphira, è importante quanto lui nella narrazione. Infatti questa si divide fra POV di Eragon e di Roran, per la maggior parte (se escludiamo il singolo capitolo di Saphira e i pochi riguardo alla prigionia di Nasuada). Nella battaglia finale, sebbene abbia trovato molto interessante l’alternanza dei POV dei due cugini, ho trovato veramente banale che fosse Roran a battere Lord Barst. Ancora una volta, un personaggio diventa talmente perfetto da esserlo troppo. …forse è solo il mio disprezzo naturale verso i protagonisti: ce ne sono pochissimi che mi piacciono.

   In definitiva, che dire di Inheritance? Leggerlo non mi è dispiaciuto di certo, ma sono andata avanti in parte perché il libro mi piaceva, e in parte perché era l’ultimo del Ciclo dell’Eredità, e questo ha giocato un ruolo fondamentale, altrimenti al posto di un mese ci avrei messo un anno a finirlo.
   Non riesco a dirmi del tutto soddisfatta del libro, per tutte le cose che ho elencato, ma soprattutto per quanto riguarda la rottura degli schemi di un racconto, che qui non è affatto avvenuta. La storia è proseguita in maniera piuttosto piatta, dopo che il grande segreto della Volta delle Anime è stato svelato.
   Comunque non rimpiango di averlo letto, è solo che ha lasciato un calore tiepido, poco profondo. Cosa che i libri precedenti della saga non avevano fatto.

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