giovedì 12 aprile 2012

Ach!

   Ho appena terminato di leggere “Il caso dei libri scomparsi”, di Ian Sanssom.


   Questo libro è l’ennesimo lampante esempio di come non ci si debba mai fidare delle recensioni ufficiali. A leggere le critiche infatti questo libro ci appare divertentissimo, il primo di una trilogia nuova ed originale, con un protagonista anticonvenzionale e un mistero oscuro da risolvere veramente ma veramente fico! … be’, non è nulla di tutto ciò.
   L’unica consolazione che trovato nel leggerlo, andando avanti e avanti con caparbietà e oserei dire coraggio, è che almeno me l’hanno regalato, quindi non ho speso neanche un centesimo per ‘sta roba.

   Partiamo dalla cosa più evidente. Dovrebbe far ridere, si evince dalle situazioni, dai dialoghi, dalle battute. La verità è che non fa ridere nemmeno per sbaglio. Mi è capitato raramente di piegare un poco le labbra in un debole sorriso, il che non compensa il fatto che ci siano trecento pagine di sfighe – si presuppone divertenti ma in realtà patetiche e poi esagerate – contro il protagonista.
   Protagonista ad una prima occhiata – devo ammetterlo – interessante. Non mi era mai capitato di leggere di un bibliotecario grassottello mezzo irlandese e mezzo ebreo. Con l’andare avanti della situazione il personaggio diventa purtroppo stereotipo, così come pressoché tutta l’Irlanda del Nord di Sanssom: strano accento, molta religione, decisamente strambi in qualsiasi modo possibile. Per di più nessuno viene trattato con grande attenzione ma solo superficialmente, nemmeno Israel Armstrong, il nostro bibliotecario, viene preso in gran conto.
   Quindi ecco che lo stile e i personaggi non si salvano, tanto per cominciare. Proviamo a riporre speranza nel mistero da risolvere? Bene, partiamo dal presupposto che Israel viene incaricato di ritrovare i libri scomparsi, manco fosse un detective. Capisco che oggi come oggi sia, per così dire, di moda prendere il primo povero malcapitato che ci capita fra le mani e gettarlo nell’azione nonostante sia una persona comune; a volte è proprio quello il bello. Ma qui la cosa non viene affatto giustificata! Per lo meno in qualche altro libro o film ti avevano rapito la figlia e la moglie, e quindi ti ritrovavi coinvolto per forza e non potevi mollare. Israel, invece, può andarsene quando vuole, e desidera ardentemente farlo date tutte le lagne che ci propone nel corso del libro (credo di aver letto più disavventure qui che nel “Signore degli Anelli”), l’unico motivo per cui non lo fa è che altrimenti non ci sarebbe niente da scrivere, così Sanssom lo costringe a Tundrum, cittadina dell’Irlanda del Nord, senza apparente motivo e con tutte le possibilità di tornare a casa.
   Torniamo al nostro giallo. La soluzione del mistero viene rivelata letteralmente nelle ultime due pagine. Dico sul serio, le ultime due, ed è talmente fiacca e prevedibile che per poco non piangevo di sconforto.

   Non consiglierei questo libro a nessuno. Non si salva né per la comicità né per il filone giallo.
   Ach! Che sconforto!

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