lunedì 9 aprile 2012

L'enigma delle lucertole volanti

   Benvenuti nel mio antro di riflessione.


   In parole povere la domanda del giorno è: perché scrivo? Cosa mi piace del raccontare storie? Mi sono resa conto di non essermelo mai chiesto, in ben vent'anni di vita e una buona decina appunto spesi in scrivere.
   Sì, lo so che sembro presuntuosa a dire che scrivevo dall'età di dieci anni, ma a quell'età non è che proprio scrivessi. Mi piaceva solo l'atto fisico della faccenda: prendere un foglio, una biro, e scrivere. Se non sapevo che storielle futile inventarmi copiavo quello che leggevo in giro, o trascrivevo ciò che sentivo.

   Prima di tutto io scrivo perché qualcuno mi legga. Sempre quando ero bambina prendevo un quaderno bianco e cominciavo improbabili storie su bimbi che entravano in case stregate o su pianisti fantasmi che vivevano in un piccolo paese e suonavano ogni volta che scoccava la mezzanotte. Dopo un paio di pagine, nella mia grafia allora storta e cicciosa, smettevo. Non perché non avessi idee, ma perché pensavo che nessuno avrebbe mai letto la mia storia all’infuori dei miei genitori (e poi perché trovavo altro da fare, come ad esempio costruire case con gli ombrelli o rotolare giù dalle colline di carbone; capirai, a sette anni è molto più emozionante fare quello che scrivere un libro). Quando ho scoperto EFP ho iniziato a scrivere storie con un inizio, una parte centrale e un finale. Certo, la maggior parte sono fanfiction, ma non è questo il punto. Il punto è che ciò che mi manda avanti a scrivere è la consapevolezza che, quando avrò terminato “l’opera”, finalmente potrò inserirla sul sito e altre persone potranno leggerla e commentarla. Fra me e me mi lamento sempre di quanto è lungo il lavoro di postare un capitolo di una fanficiton sul web, ma di fatto è per quella maledetta ora in cui rivedo il testo, lo sfino, lo copio-incollo e lo sminuzzo in tutte le sue parti perché sia perfetto, che inizio a scrivere una storia.

   A questo punto vorrei farmi un'altra domanda: come mai non sono ancora riuscita a scrivere qualcosa di nuovo? Qualcosa che non è una fanfiction? Qualcosa che posso sentire solo e personalmente come mio? Le uniche cose che ho scritto e che ho inventato sono racconti da tre o quattro pagine al massimo, autoconclusivi. Non riesco a scrivere qualcosa di più lungo! Questa domanda però è complicata, non saprei dare una risposta. Meglio analizzare con calma i fatti…
   Be’, non è che non ci abbia provato, intendiamoci. I tentativi sono stati decine e decine. Con trame diverse ogni volta, con personaggi sempre più fuori dal normale, sperimentando i generi che leggevo. Ho iniziato e tirato avanti per un bel po’ di anni con il racconto fantasy, e draghi, e sirene, e lucertole che volano (quest’ultima per il compleanno di mia madre, voleva essere un regalo speciale), ma niente funzionava. Recentemente sono passata ai romanzi, scrivere qualcosa di reale, qualcosa che potrebbe succedere a tutti, ma che è speciale in qualche modo e che ci ricorda che ognuno di noi ha la possibilità di fare quel che vuole della sua vita, come i protagonisti del libro che rivoluzionano la loro.
   Dopo tutto questo, come mai sono ancora qui? Come mai la gente (gli amici) che mi legge dice “Sei brava, scrivi un libro!” Come mai mi regalano manuali di scrittura creativa quando vedono che non ce la faccio?! E ancora ripetono: “Ma ti muovi a scrivere ‘sto best seller?”. E lo dicono con una scrollata di spalle, come se fosse una cosa semplice. In quei momenti vorrei saper dare una testata ad un’altra persona senza farmi male (un giorno mi farò spiegare come si fa).
   Tutto questo ragionamento, per cosa? Non ho ancora capito che cosa c’è che non va in me. Mi piace scrivere, ho la storia, ho la voglia di scriverla, ma dopo un po’ mi blocco. Come mai mi capita solo con le mie storie e non con le fanfiction? Forse, inconsciamente, credo che queste siano più facili da scrivere. Si tratta di prendere un mondo già pronto e ribaltarlo seguendo a grandi linee delle regole già decise da qualcun altro. Il fatto è che, quando inizio una storia mia, dopo un po’ mi rendo conto che non sta venendo fuori come vorrei. Io vorrei dare certe sensazioni, vorrei plasmare i personaggi in un certo modo, invece mi sembra di non aver afferrato bene i fili delle marionette. E quelle ovviamente vanno per conto loro, e si muovono in maniera scialba. Ecco sì, è esattamente per questo che dopo un po’ le mie idee vengono brutalmente cestinate.

   Ultima domanda: cosa mi piace del raccontare storie?
   (Oh, ragazzi, non ho idea del perché mi faccio masochistiche domande sulla mia vita e le mie passoni. Forse lo fanno tutti, una volta ogni tanto.)
   Cosa mi piace? Non lo so, veramente. Non è solo l’invenzione della storia in sé. È l’intero processo creativo, con tutte le sue fasi e gli elementi che comporta: immaginare una storia, scegliere uno stile con cui scriverla, dettarne il ritmo, l’idea di tenere in sospeso lettore e personaggio, gli stessi personaggi sono qualcosa di meraviglioso! Sono creati da te, dovranno fare certe determinate mosse, tu le hai pianificate tempo fa, hai deciso che sarebbe andata così, ma anche se sono frutto della tua mente a volte si ribellano, e fanno quel che vogliono loro. Cambiano la storia, si comportano come tu non faresti mai. Allora capisci che non sono più solo personaggi, hai creato delle persone vere.
   A parte la digressione sui personaggi (che prima o poi approfondirò perché è uno dei miei aspetti preferiti), ecco perché vorrei scrivere un libro: se invento una storia che mi piace, come mi piace, con le persone che voglio io e che va avanti e si conclude come preferisco, allora esiste davvero. Non è più solo una fantasia, un qualcosa di inconscio per cui penso “Oh, come vorrei che il mondo fosse così e cosà”. Se l’ho scritto allora ha una forma e un nome, è una vicenda in tutto e per tutto. E poco importa che forse non è successa mai a nessuno, che forse parla dell’anno 3000 e ancora non può accedere, poco importa che ci siano lucertole volanti: se l’ho messo per iscritto da qualche parte una lucertola che vola c’è.

Devo smetterla di parlare di scrittura
e di fatto scrivere qualcosa.

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