martedì 10 aprile 2012

Un giorno questo libro ti sarà utile

   Ho visto il trailer di “Un giorno questo dolore ti sarà utile” e ho pensato che volevo vederlo a tutti i costi. In un modo o nell’altro non ho avuto mai più il tempo di pensare ad andare al cinema, e infatti ancora oggi non ho visto il film – ma rimedierò il prima possibile. In seguito ho saputo che era un libro e ho pensato di leggerlo prima di guardare il film, dato che solitamente i libri sono più belli, e che se guardo prima il film e poi mi leggo il libro mi sembra di essermi rovinata la sorpresa.
   Per cui, eccomi a recensire.




   Una delle prima cose che mi è venuta in mente leggendo “Un giorno questo dolore ti sarà utile” è stata Holden Caulfied. Sì, il romanzo mi ricorda vagamente “Il giovane Holden”, ma in versione moderna. Le differenze, sia nel protagonista che nel racconto in sé, ci sono eccome, ma il discorso di fondo è lo stesso: c’è un ragazzo che si ritrova sperduto in un mondo che non capisce e che non riesce a capirlo.
   La parola disadattato in questo romanzo viene usata alla grande, ma credo che sia la prima volta in cui capisco realmente che cosa s’intende per disadattato.
   Il protagonista diciottenne infatti, James Sveck, è un disadattato. Lo si capisce molto bene da come racconta la sua vita, si percepisce il suo senso di distacco dagli altri. Peter Cameron riesce a trasmetterci le emozioni del suo personaggio talmente bene che le situazioni nelle quali si ritrova, e nelle quali si sente a disagio o arrabbiato, risultano strane anche al lettore. Forse se mi capitasse davvero di essere seduta sola in un teatro-ristorante non mi sentirei così male, ma Cameron riesce a farci entrare nel punto di vista di James così in profondità che riusciamo a capirlo. Riusciamo a calarci nei panni di un disadattato.

   Il romanzo non è altro che una sorta di lunga autoanalisi, nella quale James capisce prima di avere bisogno di aiuto, che la vita che conduce non è felice, e poi… be’, qui poi viene la pecca. Nonostante non ci sia una trama vera e propria ma solo fatti che si autoconcludono in poche pagine, Cameron l’ha pensata come si deve: in mezzo ai fatti narrati, come per fare un esempio di quanto James si senta fuori dal mondo, le digressioni abbondano, e questo rende il personaggio molto più reale. Abbiamo quindi il racconto di quando è uscito di testa al Metropolitan Museum, abbiamo le sedute dalla psicologa, abbiamo i momenti con i familiari, e tutti questi momenti danno spunto per una riflessione. Quando stiamo per arrivare alla fine sembra che un cambiamento stia giungendo, ce lo aspettiamo. Ci aspettiamo il momento decisivo, l’epifania, l’illuminazione divina o come si voglia chiamarla. Purtroppo però rimaniamo delusi, perché questa supposta epifania che dovrebbe esserci, e che nelle ultime pagine Cameron dà per scontata, non viene. O meglio, passa senza fare rumore. Forse è stato il momento con la nonna, o forse quando ha risposto al telefono del suo compagno di stanza alla Brown, ma già doverlo indovinare rende tutto così… deludente. Dov’è la svolta? L’epifania?

   In parole povere, questo romanzo è stato “carino” e “leggibile” e un sacco di altri aggettivi semplici, ma quando siamo arrivati al punto dove avrebbe dovuto fare boom! e finalmente rendere tutte quelle pagine prima non solo carine, ma belle e con un senso nuovo, si è appiattito fino a scomparire.
   Non sono molto contenta di averlo letto, da come ne parlavano mi aspettavo di meglio. Non mi sento di bocciarlo del tutto perché in fondo posso definirlo carino, ma certo non è il capolavoro per il quale oggi, dopo il film, vogliono farlo passare.
   Nonostante questo sono ancora molto curiosa di vedere il film, e credo che questa potrebbe essere una di quelle rare occasioni in cui la pellicola supera la carta.

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