venerdì 17 agosto 2012

Dove ti portano le parole

   Dopo aver visto il film ed aver ossessivamente cantato “Addio e grazie per il pesce” per circa una settimana, ho finalmente deciso di leggere il primo libro facente parte della collana della “Guida”, di Duglas Adams (1952 – 2001).
   Tanto per cominciare ne approfitto per rivedere il video, ed ecco a voi il canto dei delfini:


   Molto difficile spiegare la trama di questo libro. Non lo farò perché mi sembra troppo complicato, ma soprattutto perché penso che una trama lo farebbe sembrare oltremodo sciocco e non gli renderebbe giustizia. In realtà è assurdo, qualcuno potrebbe addirittura definirlo stupido, però è divertentissimo, e lo consiglio a tutti quelli che non pensano che la letteratura debba per forza essere una spaccatura di maroni.
   Ahivoi, ora mi permetto di fare una digressione.

   Non so come mi sono avvicinata alla lettura, ma da quel che mi ricordo leggo fin da quando ero bambina, e posso dire con assoluta sicurezza che avvicinarmi ai libri è una delle cose migliori che ho fatto fin ora nella mia vita – certo, inconsapevolmente, ma dovrò pur darmi qualche vanto, no?
   Entrando a contatto con lettori di ogni sorta (grazie alla passione dei libri ho avuto la fortuna di conoscere persone meravigliose) ho capito che non tutti hanno la mia stessa concezione della lettura. Prima non pensavo nemmeno che ci fosse, una concezione della lettura. Io leggevo e basta, e davo per scontato che le persone la pensassero come me. In realtà non è un pensiero profondo, è solo: leggere mi piace, perciò lo faccio.
   Ovviamente con il tempo ho sviluppato dei gusti in fatto di letteratura, e ho iniziato a preferire alcune letture ad altre, ma di una cosa sono sempre stata convinta e tranquilli, fra poco arriveremo al nocciolo del discorso. Se per caso inizio a leggere un libro che non mi piace prima di tutto significa che ho letto almeno una buona porzione di libro, ma che misteriosamente ci ho messo secoli – quando invece è risaputo che un libro che ti prende lo leggi in tutti i momenti liberi della giornata e di conseguenza lo finisci in un petosecondo. Tuttavia sono ottimista per natura e ad ogni pagina mi dico «dài che ci siamo, dài che adesso succede qualcosa di veramente, veramente fico!» Solo quando a metà libro ancora non accade nulla mi rassegno all’evidenza, lo lancio in qualche angolo oscuro della camera, e penso amaramente che, ancora una volta, mi sono lasciata ingannare dalla copertina (sì, io sono una di quelle che viene attratta dalle copertine).


   Il punto è che non leggerei mai qualcosa che non mi piace per forza, e non leggerei mai qualcosa solo perché è famoso anche se la trama non mi interessa. C’è gente, invece, che lo fa. C’è gente convinta che la narrativa debba per forza mandare un messaggio, avere uno scopo, ed essere in generale qualcosa su cui spaccarsi la testa per comprenderla, con significati nascosti, metafore, e chi più ne ha più ne metta.
   Io credo che prima di tutto la letteratura debba essere un piacere. Parto dal presupposto che lo scrittore, quando scrive, lo fa per piacere personale in primis, perciò anche leggere la sua opera dovrebbe essere un piacere. Secondo me Dante si offenderebbe a morte se sapesse che generazioni di studenti sono costretti a studiare la Divina Commedia, e che quindi per riflesso più della metà di loro pensa che sia utile solo come fermaporte.
   Purtroppo ho conosciuto gente che considera certi libri sciocchi e superficiali perché questi non sono pieni di ragionamenti filosofici, dialoghi strappalacrime, o parole astruse.
   Leggere dovrebbe essere qualcosa di piacevole. Ci lamentiamo perché le persone non leggono più come una volta? Sinceramente non me la sento di biasimare un ragazzo che non si avvicina alla lettura perché è abituato a pensare che tutta la letteratura sia come quella che gli insegnano a scuola. Ha ragione, cacchio! Se tutti i libri devono essere come “Il ciclo dei vinti” o “Una stanza tutta mia” nemmeno io leggerei poi così tanto.
   Non è affatto un reato se un libro è leggero, scorrevole, facile da leggere. Non significa che sia pessimo se parla di cose di tutti i giorni, o di cose impossibili. Un libro può parlare di quello che vuole, ed è a seconda dei gusti che ci rimarrà nel cuore o che ce lo dimenticheremo, non a seconda di quanto ci ha fatto scervellare durante e dopo la lettura.

Io, quando mi dicono che Jane Eyre è un bellissimo classico

   Okay, questa era iniziata come una recensione, poi è finita in un… in un qualcosa che non saprei definire, un’idea forse. Per un secondo ho pensato di staccare i due argomenti e fare due post separati, ma poi ho pensato che non era un brutto post così com'è venuto.
   Riguardo a “Guida galattica per gli autostoppisti”, se non siete quel genere di lettori che qui mi sono tanto impegnata per denigrare, allora ve lo consiglio come libro, se non altro per avere la risposta a La Vita, L’Universo E Tutto Quanto.

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