giovedì 21 agosto 2014

Papà Gambalunga - Jean Webster

   Prima di leggere questo libro, se qualcuno mi avesse detto che poteva proiettarmi nel passato per una giornata, a quando avevo cinque anni, avrei risposto subito di sì. Sarei stata curiosa di rivivere una giornata tipo della mia infanzia con il senno di poi, per ricordare che cosa facevo e com’erano le cose una decina di anni fa, quando a me tutto sembrava grande – le persone erano tutte alte, le stanze tutte grandi e quella zia ora sempre musona e acida, solare e divertente. Sarebbe curioso rivedere tutto con una consapevolezza più adulta, no?
   Lo pensavo, ma ho cambiato idea.
   Se me lo domandassero ora, risponderei di no senza riserve! È più bello lasciare le nostre passioni infantili nella bruma dorata e poco dettagliata cui appartengono ora, anche solo per non rischiare di rimanere delusi dalla realtà. Se non indaghiamo oltre, potremmo ad ogni momento pescare uno qualsiasi di quei ricordi e godercelo appieno, senza vederne gli spigoli e gli angoli bui.
   Sono decisamente andata a immergermi in un angolo buio, leggendo questo libro, ma ho imparato la lezione e credo che da ora in po’ non mi fionderò a bomba su tutti i classici da cui hanno preso spunto per i cartoni animati che guardavo da bambina.
  Come ad esempio “Papà Gambalunga”.
 
 
   Uno dei ricordi che ci portiamo dietro di più a lungo sono i programmi che guardavamo da piccoli.
   Mia madre mi racconta ancora oggi con occhi rapiti di quando guardava i Flinestones o ascoltava per radio i racconti a puntate. Io ricordo che uno dei cardini della mia giornata era guardare i cartoni animati prima di andare a scuola (o litigarmi il telecomando con mio papà che voleva vedere il telegiornale. Vinceva sempre lui, anche se io cercavo di convincerlo dicendo «Ma succedono solo cose brutte!» Chissà perché la cosa non lo tangeva).
   Per questo motivo, immagino, quando sono venuta a sapere che “Papà Gambalunga” era in realtà un romanzo ne sono stata elettrizzata. Non appena ne ho avuta in mano una copia ho iniziato a leggerla, chiedendomi come avevo fatto a non scoprirlo prima.
 
   Dire che sono rimasta delusa da questo libro è un eufemismo. Non è che io sia delusa, si è delusi quando non va come ci si aspetta. Questo libro non va e basta! Tanto per capirci, non ho nemmeno bisogno di raccontarvi la trama, perché a parte due avvenimenti all’inizio e alla fine del libro, non succede proprio un cavolo!
   Una forma epistolare disordinata e decisamente infantile è stata scelta per il romanzo. Dovrebbe semplicemente essere una lettera al mese, e questo mi porta a pensare che ogni capitolo sia formato da una lettera, che racconta cos’è accaduto nei trenta giorni passati e basta. Invece no, forse non era abbastanza divertente da scrivere, in quel modo! È come se ogni lettera venisse cominciata e ripresa ogni tre o quattro giorni, con aggiornamenti sulle date e postille. Più che delle lettere sembrano un diario. A questo punto, mi dico, sarebbe stato molto meglio un diario: almeno avrebbe avuto senso!
 
Jean Webster
 
   Jerusha Abbott è una delle orfanelle più grandi al John Grier’s Institute, studia e aiuta all’orfanotrofio. I suoi risultati scolastici vengono notati da un misterioso benefattore dell’orfanotrofio, che si propone di pagarle la retta dell’università in cambio di suo notizie ogni mese.
   Jerusha inizia così a scrivere le lettere, raccontando come va la vita universitaria. Il nomignolo che sceglie per il suo benefattore è Papà Gambalunga, poiché di lui ha visto solo la sua ombra stagliarsi sulla parete al tramontare del sole, e le gambe dell’uomo erano particolarmente allungate.
   Dopo quattro anni di serena università, Jerusha – che alla terza o quarta lettera cambia nome in Judy, non si sa perché – non sembra aver maturato alcuno spessore come personaggio. È piatta e prevedibile, nelle sue lettere passa tutto il tempo a raccontare di cosa fa con le sue amiche nell’istituto e con altri amici durante le vacanze estive. Non accade nulla di rilevante fino alla fine, quando un suo caro amico di cui parla spesso la chiede in sposa. Jerusha rifiuta, senza nemmeno sapere il perché, dato che anche lei è infatuata dell’uomo, e scrive a Papà Gambalunga per chiedere consiglio. È allora che scopre che Papà Gambalunga è l’uomo di cui è innamorata.
   Fine.
 
   Quando mi sono lamentata della piattezza del romanzo, mia mamma mi ha sgridata e mi ha detto: «Non stai pensando quadirmensionalmente Patty!»
   A suo parere Judy e Papà Gambalunga non potevano stare assieme senza dare scandalo, perché lui era una sorta di tutore, per questo lui ha tenuto la sua identità segreta.
   Insomma, mi sta bene, ma anche se il libro è ambientato in un epoca in cui tutte le cose divertenti erano proibite, anticristiane o scandalose, non significa che non debba succedere assolutamente nulla!
   Allora, tanto per essere chiari – credo che sia la prima volta che lo dico – non leggete questo libro. Dico sul serio. Non leggetelo. Sarebbe una perdita di tempo, di denaro e arrecherebbe solo quel malessere impotente di cui siamo vittime noi lettori seriali: la sensazione che sia tutto sbagliato, ma noi non possiamo farci nulla!
 
Judy Abbott
come voglio ricordarla:
nel cartone animato!
 

1 commento:

  1. Avevo letto questo romanzo da bambina. Parla di un altro mondo; di un'altra epoca, ma non è male. Chissà come potrei viverlo ora... :)

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