mercoledì 12 novembre 2014

Roba da bambini

   Non saprei dire da quando ho la passione – mania – per la lettura. Direi da sempre, da quando ho imparato a leggere all’età di cinque anni, con il librone di “Hercules” della Disney, che lanciavo dall’altra parte della stanza quando non riuscivo a capire una frase. Mia madre era contenta di comprarmi libri (non ugualmente felice di vedermi scagliarli contro il muro, ma è una fase che con sua somma allegria ho superato presto), perché diceva che così avrei passato meno tempo davanti alla televisione.
   Da bambina i miei genitori mi spingevano a fare quello che più mi piaceva e, sebbene fossero confortati del fatto che mi piacesse leggere, non era per loro una priorità che io diventassi una divoratrice di libri. Anzi, quando fui più grande erano sinceramente preoccupati del dispendio di denaro e di spazio che i miei libri causavano.
   Rimane il fatto che leggo sin da quando ero piccola e ci sono dei libri che sono stati molto importanti per me, ai quali guarderò sempre come i libri della mia infanzia.
 
   Dopo aver letto il sopracitato “Hercules”, che non ho mai tenuto in considerazione perché era più immagini che parole, il primo ‘libro vero’ che ho mai letto è stato “Matilda”, di Roald Dahl. Ero molto fiera di averlo letto, perché era un libro come quelli che leggevano i grandi. Sì c’erano le figure, è vero, ma c’erano anche un sacco di pagine senza nemmeno una figurina piccina picciò, e poi i disegni non erano nemmeno a colori, che diamine!
   Credo che “Matilda” mi piacque tanto perché era uno di quei personaggi in cui mi potevo immedesimare, ma allo stesso tempo aveva delle caratteristiche per cui volevo assomigliarle. Tanto per cominciare anche io ero una femmina, e non sia mai che a cinque anni preferissi un libro con un protagonista maschio perché «che schifo i maschi!»
 
 
   A parte questo io e Matilda ci assomigliavano parecchio perché leggevamo tutte e due un sacco, ma avere anche dei poteri e combattere presidi malvagie non mi sarebbe dispiaciuto neanche un po’.
   Pian piano si insinuò in me l’idea che leggendo tanti libri come Matilda, anche io avrei vissuto avventure straordinarie come lei. Magari è per questo che ancora non smetto di leggere: sto ancora aspettando di venire catapultata in un universo parallelo mentre faccio la mia sessione di jogging, o di venire rapita dagli alieni durante la pausa pranzo, di incontrare eccentrici personaggi quando faccio la spesa o, semplicemente, delle creature sovrannaturali nascoste fra colleghi e amici. Cose così, no? Prima o poi mi capiterà, lo so!
   A proposito di Matilda, vi informo, se non lo sapete, che esiste un fantastico musical scritto da Tim Minchin. Chiaramente non arriverà mai qui in Italia (se ci hanno messo cinque anni a portare “Gli studenti di storia” di Alan Bennet che è una normale pièce teatrale, non vedo come potrebbero adattare delle canzoni in maniera soddisfacente e in tempi rapidi), per cui ho già deciso che per la mia prossima visita a Londra una tappa al musical di Matilda è d’obbligo. Intanto vi lascio con una delle canzoni che mi piacciono di più: “When I grow up”.
 
 
   Un altro libro che è stato importante per me è “Il mago di Oz”, di Frank L. Baum. Le mie maestre me lo regalarono in quinta elementare dopo l’esame. Ne regalarono uno diverso a tutti quanti, e a me toccò quello. Purtroppo lo avevo già letto perché mi era stato regalato da qualcun altro, ma non ne feci parola con loro ovviamente.
   Ancora oggi ho quel libro e quando una volta mi è capitato di fare una scernita dei libri che volevo tenere per fare spazio fra i miei scaffali (i poveri scartati sono finiti in biblioteca, ma gli scaffali sono stati felici perché si stavano piegando per il peso!) ho scelto di tenere quello delle mie maestre.
   Una delle cose belle dei libri è che non solo regalano la loro storia in sé, ma possono anche portare ricordi su un periodo o un episodio della nostra vita.
 
 
   Pietra miliare delle mie letture di bambina è “Harry Potter e la Camera dei Segreti”. Apposta non cito tutta la saga perché il secondo volume è stato il primo che ho letto, seguito poi dal primo e infine dal terzo, dopo il quale sono andata in ordine. Una delle mie zie non sapeva che fosse il secondo di una serie, sapeva solo che in molti ne parlavano, così decise di regalarmelo.
   La cosa buffa è che all’inizio lo odiavo, faticavo davvero a leggerlo! Nel primo capitolo c’era questo ragazzino che veniva maltrattato dai suoi zii, e venivano nominate cose a me incomprensibili, come Hogwarts, Piton («Che cosa cavolo è un Piton?!», mi chiedevo indignata) e Cappelli Parlanti. A invogliarmi a leggere fu mio papà, che evidentemente non voleva sprecare così l’opportunità per tenermi per un po’ impegnata con un bel libro. Mi bastò resistere fino all’apparizione dei fratelli Weasley su una macchina volante, dopodiché fui totalmente convinta della validità di Harry Potter. Come resistere, d’altronde, ai Weasley?
   Con Harry Potter mi sono affezionata per la prima volta ad una storia e ai suoi personaggi.
   L’unica cosa non così poetica che mi ha lasciato è una frase che è diventata un detto di famiglia. Ogni volta che da piccola qualcosa non mi piaceva – dai libri, al cibo, alle persone – mio papà mi convinceva almeno a provare a farmeli piacere, prendendo come esempio il fatto che prima odiavo Harry e poi l’ho amato, e diceva sempre: «Ricordati di Harry Potter!» E me lo ha ripetuto talmente tante volte che ora tutti in famiglia conoscono questa frase.
   Ogni tanto la dice ancora…
 
 
   Per qualche motivo che non ricordo, quando andavo ancora alle elementari entrai in possesso di “Strega come me”, di Giusi Quarenghi. Non mi ispirava per niente e di fatto lasciai lì il libro a prendere polvere sul comodino (o meglio dietro il comodino, sotto il comodino, come tassello per non far traballare il comodino!) per parecchio tempo.
   Un giorno mi colpì la terribile maledizione del lettore, che ogni tanto capita al lettore distratto, o troppo impegnato, o a quello che è ancora economicamente dipendente dai genitori, come ero io all’epoca: ero rimasta senza niente da leggere. Fui colta prima dalla noia, poi dalla disperazione, infine dalla rassegnazione. Sarei stata costretta a giocare con le Barbie per un sacco di tempo, cavolo! Infine, i miei occhi caddero sul volumetto che stava, appunto, sotto al comodino e, in mancanza di altro, con un’alzata di spalle iniziai a leggerlo.
   Nemmeno dieci pagine e già mi domandavo se anche io avrei potuto frequentare un collegio per streghe. Ricordo che risposi al questionario che c’era in mezzo al libro, che riguardava i requisiti per entrare a far parte del collegio, ma con mio grande scorno scoprii di non averne nemmeno uno. Il disappunto durò poco comunque, perché il libro era troppo bello per perdere tempo a pensare che, uffa!, non ero una strega.
   “Strega come me” è stato il primo libro che mi ha sinceramente stupita, e da allora ho imparato a dare una chance ai libri che mi finiscono fra le mani praticamente per caso. C’è sempre la possibilità che diventino alcuni dei miei libri preferiti.
   Da allora, il mio comodino traballa.
 
 
   Durante le vacanze di Natale, un anno, andai a trovare dei parenti in campagna e, dato che sapevo che d’inverno non c’era molto da fare lì (nessuna possibilità di correre su e giù per le colline, né di mangiucchiare l’uva dalle viti o di fare a gara a chi lanciava le mele cadute dall’albero più lontano, insomma, una vera noia!), portai con me un libro.
   Fu una saggia decisione. Intanto, perché non c’era davvero molto da fare. E poi perché “Gelsomino nel paese dei bugiardi”, di Gianni Rodari, divenne subito uno dei miei libri preferiti.
   Oltre alle illustrazioni, che erano bellissime, aveva dei personaggi davvero incredibili di cui ora purtroppo mi sfugge il nome. So bene che c’era un gatto fatto di grafite che inneggiava alla rivoluzione scrivendo slogan contro il re lungo le strade, e che il re in questione altri non era che un pirata calvo che indossava bellissime parrucche.
   La cosa che mi piaceva di più del libro era che nel paese dei bugiardi tutti dovevano parlare e comportarsi al contrario. Se volevi il pane dovevi andare dal cartolaio e se volevi della carta dal panettiere. I somari venivano premiati e gli studenti diligenti puniti, e per fare un complimento si doveva dire: «Hai una bella faccia da schiaffi!»
   Questo è un libro che consiglio a tutti i bambini.

 
   Direi che ho finito con i libri della mia infanzia. Sicuramente ce ne sono molti altri che ora non mi vengono in mente, ma direi che questi, se me li sono ricordata subito, sono di certo i più belli.

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