domenica 11 gennaio 2015

Nom de plume

   Per caso, qualche giorno fa, mi è capitato di riflettere riguardo agli pseudonimi usati dagli autori. Trovo che l’utilizzo di un nom de plume sia accattivante, per l’autore e per il lettore, ma solo con le giuste ragioni rimane una scelta apprezzabile.
 
   Oggi capita molto spesso di vedere in libreria romanzi in cui sia lo pseudonimo che il nome dell’autore campeggiano sulla copertina, e in quel caso mi chiedo: perché? Se un autore vuole pubblicare con uno pseudonimo la casa editrice dovrebbe mantenere sulla copertina il nome scelto dall’autore, non scrivere sotto in piccolo il più conosciuto ‘J. K. Rowling’ o ‘Sophie Kinsella’.
   Trovo che sia corretto che autori con una certa notorietà abbiano la possibilità di pubblicare sotto pseudonimo, per capire se il loro lavoro viene apprezzato perché è buono o perché proviene da un nome famoso. Il motivo per cui la sopracitata J. K. Rowling scrive sotto lo pseudonimo di Robert Galbraith, o per il quale Stephen King ha scritto ‘nascondendosi’ dietro Richard Bachman, è che i loro nomi fanno troppo caos. Non a caso le critiche a “Il seggio vacante”, firmato dalla Rowling con il proprio nome, furono tante, e tutte diverse e confuse. La capisco se ha preferito usare un pen name per riceve critiche più costruttive e meno estremiste, perché scommetto che la critica si è divisa fra “confermato il talento da Nobel” e “non va bene nemmeno come carta igienica”.
   Anche dopo le rivelazioni sul vero autore di un romanzo, tuttavia, penso che sarebbe meglio non scrivere il vero nome di chi l’ha scritto, se non altro per quella fetta di lettori che magari, non aggiornati sulle notizie, hanno voglia di leggere un bel libro di un tipo che si chiama Richard Bachman, o di una che si chiama Madeleine Wickham (anche se in questo caso il più noto è lo pseudonimo Sophie Kinsella).
 
 
   In passato il nom de plum si basava su motivazioni più interessanti, che io preferisco per una maggiore poeticità. Sono tutti motivi che oggi non avrebbero senso, perché se alcuni pregiudizi sono del tutto scomparsi altri si sono attenuati, ma non richiedono comunque più un uso obbligato dello pseudonimo.
   Forse la maggior parte della gente non conosce Ricardo Eliezer Neftalì Reyes Basoalto, ma tutti conoscono Pablo Neruda. Il vero nome era stato cambiato perché, oltre a causare uno scompenso al povero addetto alle stampe per quanto era lungo, il poeta voleva evitare il malcontento del padre, che non vedeva di buon occhio che il figlio vivesse di poesia.
   Agatha Christie, maestra del giallo, ha scritto diversi libri sotto il falso nome di Mary Westmacott. Romanzi che ho sentito definire «di carattere sentimentale», ma diciamocelo: erano romanzi rosa.
   Più ci addentriamo nel passato e più troviamo esempi come quello delle sorelle Brontë, che pubblicavano con nomi maschili per vincere i pregiudizi della società.
   Forse non molti lo sanno, ma anche oggi molte autrici fanno lo stesso. “City of Dark Magic”, romanzo d’esordio di Magnus Flyte, altro non è che un thriller firmato da Christina Lynch e Meg Howrey. Hanno deciso di pubblicare sotto un nome maschile per arrivare a tutti i lettori.
 
   A questo punto si entra in un tema più ampio, che ho intenzione di trattare con calma in qualche altro post.
   Da alcuni studi emerge chiaramente che gli uomini preferiscono leggere romanzi scritti da uomini, piuttosto che da donne. Invece le donne, seppur molte leggano preferibilmente romanzi scritti dal gentil sesso, hanno una visione più ampia, e non si fanno problemi a leggere libri di autori uomini.
   Lungi da me adesso uscirmene con frasi femministe del tipo «noi donne siamo più avanti» o «i maschi pensano sempre di saper fare tutto meglio», ma devo ammettere che leggere i dati di questo studio mi ha fatto pensare. E non è stato un pensiero felice.
   Tratterò l’argomento in maniera più approfondita in seguito – merita un post tutto suo, non trovate? – perché per me è importante.
 
   In conclusione, mi piace leggere un autore e scoprire dopo che si nascondeva dietro ad uno pseudonimo, soprattutto se era per non farsi scoprire, per ragioni familiari, o per non destare scandalo. Che posso farci? Il mio cuore palpita quando percepisce una storia drammatica e teatrale!

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