mercoledì 4 marzo 2015

Hunger Games, Il canto della rivolta - Suzanne Collins

Come sempre quando c’è da recensire un libro molto discusso sono incerta e un po’ titubante. Se ne dicono talmente tante e il pensiero è stato talmente influenzato (il mio, poi, che vado a leggere recensioni da ogni parte, pfff!, figuriamoci) che dire qualcosa di nuovo o interessante è complicato. E come sempre io arrivo dopo, mooolto dopo.
Per quanto riguarda  “Il canto della rivolta” pensate che lo avevo in libreria da Luglio e non lo volevo leggere. Un po’ perché ho sempre preferito i film per svariate ragioni (accaniti fan del libro, non uccidetemi), un po’ perché non volevo che la trilogia finisse – che poi è la stessa ragione del perché ci ho messo cento anni a finirlo e altri cento per scrivere la recensione.
Non credo ci sia bisogno di fare un riassunto del libro, per quella piccola fetta che non lo ha ancora letto comunque sappiate che questo commento non è esente da spoiler.
 
Per quanto riguarda lo stile non mi dilungo: semplice, scorrevole, un libro per ragazzi come un altro. Non ci sono picchi di poesia ma nemmeno strafalcioni giganteschi. Si adatta al pubblico cui è dedicato.
Per quanto riguarda il resto, invece, ho parecchio da dire.
Una delle trovate più geniali della Collins è stata l’esistenza del Distretto 13. Senza la sua esistenza nessuno dei ribelli avrebbe potuto effettivamente combattere una rivolta. Sebbene ne avessero le motivazioni appaiono piuttosto spersi e ancora restii per un passo del genere. Il Distretto 13, con la sua organizzazione meticolosa, quasi maniacale e totalmente finalizzata alla guerra, è ciò che permette alla scintilla di divampare dopo che questa è scoccata.
Ho letto in giro di commenti del tipo: «Com’è possibile che i Distretti non si siano ribellati prima? Con tutto ciò che Capitol City ha fatto loro, e contando che la città dipende interamente dai Distretti per ogni piccola cosa, che ci voleva a ribellarsi?» A queste persone dico che la loro è una critica senza senso. Una ribellione avviene quando il popolo ne ha abbastanza, ma questo non significa che non debba raggiungere situazioni veramente critiche. Pensate alla Rivoluzione Francese: la popolazione è dovuta arrivare a morire di fame e di stenti e le classi non nobili subire parecchie umiliazioni prima di decidere di ribellarsi, eppure nessuno si chiede come mai non l’abbiano fatto prima.
Una cosa che non mi è piaciuta molto del libro è stata la strategia militare – se così si può chiamare. Le motivazioni e i modi per le quali i ribelli si muovono, militarmente parlando, sono poco chiare. Durante tutta la narrazione non mi è mai stato chiaro il perché facessero certe manovre piuttosto che altre, né che cosa ne guadagnassero se è per questo. L’unico momento in cui tutto si è capito perfettamente è stato durante la presa del Distretto 2. Il resto è nebbia.
 
Ho apprezzato molto i nuovi personaggi, come Boggs e la Coin, e mi è piaciuto come altri siano stati approfonditi, ad esempio Finnick e Joanna Mason.
In particolare però ho rivalutato Prim, che si è guadagnata La Coppa del Personaggio Preferito. Nonostante sia fisicamente debole e, in alcuni casi, solo fonte di problemi – se pensiamo che se non fosse per lei i libri non avrebbero mai avuto inizio, in quanto Katniss non si sarebbe mai offerta volontaria ai 74esimi Hunger Games! – in questo libro capiamo che Prim è indipendente, decisa e ha un animo maturo molto più forte di quello di molti altri personaggi.
Un altro che mi è piaciuto molto, soprattutto per il suo cambiamento ben marcato e utile ai fini della trama, è Peeta. Mi era sempre parso strano e sin troppo bello che Peeta fosse una persona così buona, persino un po’ ingenua, nonostante gli orrori del mondo in cui vive. Seppur sotto tortura, Peeta cambia interamente il suo modo di essere, di pensare, di agire, di vedere il mondo e di reagire ad esso. Oltre ad essere un elemento che detta legge nello svilupparsi della vicenda, il cambiamento di Peeta è interessante anche per la storia d’amore fra lui e Katniss.
E, a proposito di Katniss, ho qualcosa da ridire su di lei. Ovviamente, come in tutti gli altri libri, l’ho adorata per essere un po’ antieroina, perché nonostante sia la protagonista si comporta come se non volesse esserlo e interpone agli interessi di Panem i suoi e il benessere delle persone che ama. È indisponente, capricciosa e anche un po’ arrogante, ma lima alcuni dei suoi difetti nel corso della storia, il che è un bene perché il personaggio dimostra un’evoluzione ponderata nel tempo. Quel che non mi convince è il suo stato psicologico.
Nel primo libro era, com’è ovvio, determinata anche se impaurita e impreparata a quello che sarebbe successo. Nel secondo gli strascichi dei primi Hunger Games le fanno avere degli incubi che la fanno dormire male, e fin qui tutto comprensibile. Nel terzo libro, senza spiegazioni, diventa all’improvviso psicopatica! Senza una ragione, apparentemente. Tra la fine di “La ragazza di fuoco” e “Il canto della rivolta” passano poco meno di un paio di settimane, settimane che per altro Katniss passa al sicuro a guarire in infermeria nel Distretto 13. E allora perché quando la vediamo diventa completamente fuori di testa?! Scappa davanti alle rose, rifugge il contatto umano, ha attacchi di tristezza in cui piange e attacchi di rabbia in cui se la prende con tutti. Non è che non sia comprensibile il suo stato d’animo, ma non si capisce come mai sia diventata pazza in maniera così improvvisa.
 
Suzanne Collins
 
Non posso dire che questo sia il mio volume preferito della saga di Hunger Games.
A livello di storia è perfetto, una degna conclusione. L’unico difetto è forse aver voluto scrivere di così tanti avvenimenti in un libro tutto sommato piccolo. Gli altri due libri erano occupati da una sorta di introduzione, di preludio ai giochi, e poi dai giochi stessi e basta. Qui scopriamo un nuovo Distretto, la ribellione comincia e viene vinta dai ribelli, vediamo il principio di una nuova forma di governo e i rapporti fra i personaggi cambiano completamente. Tutto viene sconvolto subito e in fretta. Il risultato, secondo me, è piuttosto caotico e frettoloso.
Nonostante questo ho apprezzato la trilogia di Hunger Games. Innovativa, appassionante e senza peli sulla lingua. Le spetta un posto di tutto rispetto fra i miei scaffali, anche se non sarà una delle mie preferite.

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