mercoledì 11 marzo 2015

Quella vita che ci manca - Valentina D'Urbano

La sincerità è ciò che vorrei ci fosse alla base del blog – così come vorrei che fosse alla base di ogni cosa ma, be’, comincio dal mio piccolo. Sono sincera nelle recensioni, quando parlo della blogosfera, quando parlo di me e così voglio continuare a fare.
È facile essere sinceri quando si recensisce un libro il cui autore è straniero, o morto, o ha scritto un libro fantastico e noi non facciamo che aggiungere lodi ed altre lodi. Diventa un po’ più complicato quando l’autore ci invia un suo scritto, quando lo conosciamo o magari è un nostro amico.
Forse sono io l’unica paranoica, e anche questa volta mi sto fasciando la testa prima di rompermela. Il fatto è che ci rimango male a dire a qualcuno che non mi piace qualcosa che ha scritto, disegnato o ideato, perché so quanto impegno ci si mette e quanto fegato ci vuole per sottoporre quest’idea ad altri e stare a sentirne le critiche.
Non conosco affatto l’autrice di cui sto per recensire il libro ma dato che è italiana, vivente, e probabilmente ha contatti quotidiani con il web in quanto non è a far compagnia a Harper Lee in una casa di riposo, ho l’ansia che possa in qualche modo arrivare a questo minuscolo blog e leggere questo minuscolo post. E scoprire che non le piace affatto ciò che penso del suo libro. D’altra parte mi dico che gli autori sono abituati a critiche belle e brutte, e che la mia sarà sicuramente “un granello di polvere nell’occhio di un gigante”.
Quindi mi rimbocco le maniche e mi appresto a recensire “Quella vita che ci manca”, di Valentina D’Urbano.
(Tanto non lo leggerà mai!)
 
Siamo alla periferia di Roma, a metà degli anni ’90, nel quartiere più malfamato che possiamo immaginare: la Fortezza. Non è un nome scelto a caso, perché il quartiere ha davvero muri e sentinelle all’ingresso, e se hai la faccia di uno che non dovrebbe essere lì ti sparano e tanti saluti.
Qui è dove vive la famiglia Smeraldo, in una casa occupata dove manca spesso la luce, il gas, e tutto ha una patina di vecchio e usurato. Persino quelli che vivono lì hanno un’aria usurata. Letizia, madre di quattro figli avuti da tre padri diversi. La primogenita Anna, trent’anni e un destino di solitudine già scritto. I fratelli Alan e Vadim, l’uno spietato e l’altro ritardato. E infine il più piccolo, Valentino, che nonostante il degrado in cui vive e la sua vita spietata, conserva una dolcezza e una sensibilità rari nelle persone.
La famiglia Smeraldo si arrangia come può, ma chi porta i soldi veri a casa sono Alan e Valentino che, ormai specializzati in furti di merce e auto, escono di notte con la scusa di aver trovato un lavoro come guardiani notturni. La vita sembra già decisa, perché chi abita alla Fortezza ha solo due possibilità: fuggire a dispetto di tutti, pensando solo ai propri interessi, o vivere come già fanno gli Smeraldo.
Le cose cambiano per Valentino quando incontra Delia, una ragazza che si è trasferita a Roma da poco. Più grande di lui e con una vita differente, fuori dalla Fortezza, la vita che Valentino sogna e che non osa prendersi. Il ragazzo la conquista nonostante la sua reticenza e Delia riesce ad andare oltre alle apparenze e a conoscere chi si cela dietro l’aria da criminale di Valentino. Nonostante mentalità diverse e desideri opposti i due riusciranno a convivere, per incamminarsi assieme verso un destino che si scriveranno da soli.
 
Ho trovato serie difficoltà nello scrivere questo piccolo riassunto, e qui principalmente sta il difetto del libro. La trama è inconsistente.
Probabilmente è un fatto di gusti, ma l’ho trovata veramente povera. Non esiste un vero fulcro della storia, non ci sono reazioni di causa-effetto se non alla fine – e per fine intendo proprio le ultime venti pagine. Leggiamo per oltre duecento pagine di furti, liti in famiglia, del degrado, della sofferenza, delle piccole felicità, per poi ricominciare daccapo. Purtroppo alla lunga stancano, e non perché lo stile, la storia, o la scena che leggiamo in sé, ma perché non hanno un motivo per essere scritte.
Facciamo un esempio di un altro tipo. Nei film di Quentin Tarantino ci sono spesso dialoghi apparentemente inutili fra i protagonisti, su argomenti che nulla avranno a che vedere con il film e la trama, ma sono fatti per far capire allo spettatore il rapporto che intercorre fra due personaggi. In “Quella vita che ci manca” è come se ogni scena fosse stata scritta con quello scopo. Ma a pagina settanta direi che ho intuito com’è la famiglia Smeraldo, il loro background e la loro storia, e ora voglio sapere se succederà qualcosa!
Probabilmente si tratta di gusti e basta, ma personalmente mi piace vedere i personaggi agire in base a qualcosa, e reagire di conseguenza ad un fatto. Ad esempio Harry Potter vuole uccidere Sirius Black perché pensa che abbia tradito i suoi genitori. Non Vadim fugge di casa per vedere la ragazza di cui si è innamorato e la cosa finisce in nulla. Il libro è tutto un susseguirsi di “finisce in nulla” fino alla fine, dove finalmente abbiamo degli ingranaggi che si muovono tutti assieme a formare una storia. Le scelte dei personaggi portano a conseguenze, che si intrecciano con le scelte di altri personaggi e così via, come un cesto di vimini che senza una fascetta si sfalda.
Peccato che il tutto duri una ventina di pagine e poi finisca il libro.
 
Valentina D'Urbano
Ammetto di essere un po’ irritata con questo romanzo, perché ho adorato i personaggi e mi dispiace vederli in una storia che però non mi appassiona.
I personaggi, tutti quanti, sono estremamente reali, anche quelli che vengono citati meno spesso. È come se ognuno di loro avesse due facce: quella che vede la società e quella che ci mostra l’autrice. Così la maggiore Anna passa dalla classica zitella che nessuno si è preso a essere la donna che ha consapevolmente sacrificato la sua felicità per la famiglia. Alan e Valentino passano da giovani criminali a ragazzi cresciuti troppo in fretta, le cui responsabilità sono troppo grandi e pressanti.
Credo che il mio personaggi preferito sia, tuttavia, Vadim. Il fratello scemo. Forse perché mi ispira tenerezza, o forse perché i suoi ragionamenti limpidi e sinceri mi hanno fatta sorridere. Fatto sta che ho adorato leggere di lui, la sua sincerità infantile è divertente e mi piace il fatto che, nonostante sia effettivamente ritardato, non gli sia stata negata una parte importante nella storia, una parte come quella di tutti gli altri personaggi. Ha i suoi crucci, le sue speranze, i suoi problemi e pensieri, e l’essere un po’ scemotto non gli preclude pro e contro della vita. Proprio come non lo fa nella realtà.
 
Un’altra cosa che ho apprezzato molto è lo stile.
Non ho mai letto altro di Valentina D’Urbano ma lo stile mi ha dato l’impressione di essere volutamente un po’ grezzo, come per voler avvicinarsi alla storia e ai personaggi, che certo non sono raffinati o ricercati.
Mi piace il fatto che il modo di scrivere si allinei al tipo di storia che leggiamo, perché è come immergervisi ancora di più. Un po’ come ha fatto Dante con la Divina Commedia, tutto aulico e compito nel Paradiso e più volgare e rilassato all’Inferno.
A questo punto sarei curiosa di leggere altro della D’Urbano, giusto per capire se scrive proprio così o se cambia registro a seconda della storia e dell’ambientazione.
 
Spero di non avervi annoiati con questa recensione un po’ lunga, ma soprattutto spero di non avervi dissuaso a comprare il libro nel caso lo aveste adocchiato in libreria. Non è un brutto libro, semplicemente non piace a me. Ma penso sempre che se qualcuno lo ha scritto – e indubbiamente se lo ha fatto lo ha anche amato – c’è qualcun altro che lo leggerà volentieri e che potrà amarlo allo stesso modo.
Ho solo sentito pareri positivi, in realtà, su “Quella vita che ci manca”, e forse questo post sarà solo l’accezione che conferma la regola.
 
 

13 commenti:

  1. anche io, nella vita come nella blogsfera, tendo a fare della sincerità il mio fiero vessillo.
    personalmente non amo le storie come quella che hai recensito, ma dopotutto potrei sempre cambiare idea, perché no?

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    1. Già, sui libri non è mai detta l'ultima parola: finché non li leggiamo non possiamo sapere se sono o meno storie che potrebbero piacerci ;)

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  2. mi hanno parlato molto bene di Acquanera, della stessa autrice, sono curiosa di scoprire il suo modo di scrivere e credo inizierò da quello :)

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    1. Lo stile è interessante secondo me, e le sensazioni che l'autrice riesce a farci provare sono intense. Anche se il lettore non conosce in prima persona l'ambiente di cui si legge e nel quale i protagonisti si muovono, è facile comprendere la storia e immedesimarsi. Ci vuole molta bravura nello scrivere, per fare una cosa del genere!

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  3. Condivido le tue considerazioni sul disagio nello scrivere recensioni di autori che potrebbero essere almeno un briciolo scalfiti dalle tue parole (anche se magari non è così). Del resto di recensioni finte il web non ha certo bisogno. ;)

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    1. Già, si sentono un sacco di storia riguardo a blogger che recensiscono bene un libro perché glielo ha inviato l'autore stesso o una casa editrice. In effetti ce ne sono abbastanza, spero di non aggiungere mai una recensione del genere al mucchio!

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  4. Ho letto tutti e tre i romanzi di Valentina D'Urbano, autrice che stimo moltissimo, e devo ammettere che questo - seppur molto affascinante per lo stile e i personaggi - è quello che mi è piaciuto meno. Il difetto secondo me non è tanto l'inconsistenza della trama, perché se i personaggi sono ben tratteggiati e lo stile mi coinvolge posso anche sorvolare, è che scimmiotta troppo "Il rumore dei tuoi passi", romanzo ambientato anch'esso alla Fortezza, ma molto molto molto più interessante, a partire da una connotazione storica precisa: gli anni ottanta, con il proliferare dell'eroina. Qui perché si parla del 1991? C'è qualcosa che ci fa pensare che le vicende debbano accadere proprio in quell'anno? Insomma, a parte la volontà di collegarsi alla storia del primo romanzo, non ci vedo uno scopo. Tra l'altro Beatrice (del primo romanzo) e Valentino hanno lo stesso obiettivo: andarsene dalla Fortezza (che credo sia a Torino e non a Roma, perché nel primo romanzo viene detto)... Insomma, un po' di originalità...
    Detto ciò la D'Urbano è una delle giovani autrici migliori che ci siano oggi nel panorama italiano. Ha solo sbagliato mira per una volta, ma è perdonata! Ti consiglio sia "Il rumore dei tuoi passi" sia "acquanera"! :)

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    1. Grazie per il consiglio :) Mi incuriosisce molto "Acquanera", ne ho sentito parlare bene e la trama sembra interessante.
      Spero veramente di non essere delusa, perché come ho detto lo stile della D'Urbano mi è piaciuto molto, così come il modo in cui rende i personaggi e come sa portare sulle pagine la natura umana. La cosa che ho preferito forse sono proprio i personaggi, perché sono estremamente veri.
      Grazie di essere passata comunque, e di aver commentato! :D

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  5. P.S. Anche a me è piaciuto molto il personaggio di Vadim, tenerissimo! E non credo che le sue fughe si siano concluse in un niente: l'uscita per andare al mercato, serviva a inaugurare la sua mania di scappare di casa, fondamentale, come tu sai, per lo svolgersi delle vicende, dal momento che la sua ultima fuga cambia le sorti della storia... :)

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  6. in realtà alla fine di "Quella vita che ci amnca" viene proprio detto che la città è Roma. E anche "il rumore dei tuoi passi " quindi si svolge lì: Torino compare solo perchè viene mandato lì in carcere uno dei personaggi. Del resto la parlata non può dare adito a dubbi.

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  7. Io h amato tantissimo questo romanzo, pur con tutti i suoi difetti, tra i quali il "calcare la mano" dell'autrice per farci capire un concetto che evidentemente le sta a cuore. Tipo: ok, abbiamo capito che Alan è un borgataro ignorante e delinquente, c'è bisogno di descriverlo come uno che ogni volta che si arrabbia sfascia a calci e pugni l'armadio, o spara al televisore?! così lo fai diventare uno psicopatico che manco nel quartiere di SCampia!
    oltretutto:alan vive in con altre cinque persone, in un condominio....e quando spara al televisore NESSUNO accenna a un minimo di reazione?! Concordo invece per la preferenza a Vadim, dolce e sincero, ma anche qui era un personaggio che, come Anna , meritava forse ualche approfondimento in più.

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    1. Ahah! Già, se avessi potuto Alan l'avrei preso a schiaffi! Fra tutti è il personaggio che meno mi è piaciuto forse, ma non perché non sia riuscito, perché ha proprio un carattere del cavolo.
      Sono d'accordo con te, anche Anna è un personaggio interessante, e sarebbe stato bello approfondirlo, così come Vadim. Ecco, se mai ci fosse un seguito del libro vorrei che fosse incentrato su loro due :D

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    2. in realtà a me alan faceva abbastanza pena: un ragazzo che non sapeva riconoscere le proprie emozioni e mostrarsi "umano" per paura di soffrire come gli era successo con l'abbandono del padre, la morte del patrigno e l'abbandono di Caterina.Forse seavesse trovato una ragazza diversa su cui riversare il suo amore per lui sarebbe andata diversamente...

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