martedì 13 dicembre 2016

L’abbazia di Northanger – Jane Austen

Sto facendo parecchia fatica a scrivere questa recensione, tant’è che la prima stesura è stata scritta a mano su un quadernone (ho pensato che allontanarmi dal pc poteva essere utile). Forse perché è da un po’ che non scrivo recensioni, o perché ho dei dubbi su questo libro.
Inizierò da qualcosa di semplice allora, un riassunto di “L’abbazia di Northanger”, di Jane Austen.

Catherine Morland, la maggiore delle figlie dei Morland, viene invitata dai vicini, i coniugi Allen, a passare le vacanze con loro nella cittadina di Bath.
Pochi giorni dopo il loro arrivo Catherine fa amicizia con Isabella Thorpe e suo fratello John. La prima appare come una ragazza deliziosa ma, con l’andare avanti del tempo, risulta vanitosa, egoista e capricciosa. Il fratello dimostra di essere antipatico sin dal primo istante: non fa che vantarsi di ciò che ha, degli affari che conclude, e sminuisce tutti gli altri.
Per fortuna Catherine incontra anche la famiglia Tinley e fa subito amicizia con Elaeanor e con suo fratello Henry – invaghendosi subito di quest’ ultimo. Con loro instaura un’amicizia sincera, che le procura un invito alla casa di famiglia dei Tinley, l’abbazia di Nothanger.
Catherine nutre molte aspettative per questa dimora perché le ricorda le ambientazioni dei romanzi gotici che ama tanto, tuttavia rimane delusa dalla normalità della casa. Dopo una figuraccia proprio con Henry Tinley decide di lasciare le fantasie gotiche nei libri, e di vivere la sua vita senza cercare ovunque un mistero che, di fatto, non esiste.
La protagonista torna a casa dopo aver imparato molte preziose lezioni sulla società, prendendo le distanze dai poco sinceri fratelli Thorpe e guadagnandosi anche una richiesta di matrimonio da parte di Henry Tinley.

Ho letto altri tre romanzi di Jane Austen e, sebbene il mio giudizio per ognuno sia diverso, non posso dire di nessuno che non mi sia piaciuto per ragioni di stile. Tranne questo. Presto spiegato il fatto: “L’abbazia di Northanger” è stato il primo romanzo scritto dalla Austen e pubblicato postumo dai fratelli dell’autrice.
Si intuisce uno stile alle prime armi, che ancora sperimenta la sua scrittura. L’autrice si chiede fin dove può e riesce ad arrivare, cosa dovrebbe scrivere e come dovrebbe farlo. A questo proposito si riconoscono alcune caratteristiche della Austen già autrice avviata, come l’ironia pungente indirizzata all’alta società, la costruzione di un gruppo formato da poche famiglie le cui vicende costituiscono la trama. Inoltre vediamo alcune delle figure che verranno usate in quasi tutti i suoi romanzi: la ragazza viziata, il giovanotto prepotente, la donna anziana un po’ frivola ma sostanzialmente buona, il capofamiglia ambizioso. Compaiono tutti ma, a mio parere, sono troppo eccessivi in questo romanzo per essere sottilmente ironici, diventano grossolani.
Una delle cose tipiche della scrittura della Austen che, invece, non ho trovato – ed è stato un piacevole cambiamento – è la diffidenza per i personaggi troppo simpatici. In tutti i suoi libri c’è un personaggio che si dimostra sin da subito estremamente affabile e che, in seguito, si scopre essere negativo. Questa volta non è successo ed è stato piacevole non aver previsto il risvolto ‘inaspettato’ di uno dei personaggi.

Il romanzo vorrebbe essere, immagino, una sorta di presa di posizione. La Austen qui dichiara cosa vuole scrivere e perché, e in effetti mantiene la parola nei suoi seguenti romanzi. In questo non posso fare a meno che ammirarla. Raramente si ha un’idea chiara del proprio stile, delle possibilità della propria scrittura e di cosa si vuole raggiungere con essa. Lei l’aveva, e anche in giovane età.
Ma vediamo quali sono queste intenzioni:
Tramite la sua eroina, ma anche apertamente rivolgendosi proprio al lettore, la Austen si dichiara in difesa del romanzo, contro coloro che all’epoca lo reputavano una lettura frivola, priva d contenuti e indirizzata ad un pubblico ritenuto di categoria B. Dice che il romanzo non solo è pari a saggi e articoli di studiosi, ma addirittura superiore, in quanto coinvolge il lettore e gli fornisce insegnamenti morali più che scientifici.
Il libro è inoltre una critica ai romanzi gotici, molto di moda all’epoca in cui lei scrisse “L’abbazia di Northanger”. Buona parte della trama ruota intorno al fatto che la casa dove la protagonista è ospite nasconda un segreto, e che gli stessi abitanti siano tuttora in pericolo in quanto una persona malvagia si aggira fra quelle mura, indisturbata. Inoltre la stessa Catherine è l’eroina dei romanzi gotici per eccellenza, una ragazza normale che si ritrova suo malgrado a vivere una situazione di pericolo. Prendendo in giro le situazioni che si vengono a creare in questi racconti la Austen sembra voler dire che non c’è bisogno di tante fantasie, peraltro impossibili, per scrivere un buon romanzo. Basta guardare fuori dalla finestra, parlare con i vicini, ascoltare le chiacchiere all’ora del tè, per sentirsi ispirata e imbastire una storia più che interessante.

Non diventerà mai uno dei miei romanzi preferiti di quest’autrice, tuttavia è perdonata in base al fatto che si tratta del primo da lei mai scritto e, nonostante tutto, è una storia piacevole e la consiglio a chi ama Jane Asuten.

Ma che non vi venga in mente che si tratta di un romanzo gotico!

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